PRATICHE CATASTALI

La nostra agenzia si occupa anche di cambi e destinazione d’uso. Riproponiamo di seguito il testo degli articoli a firma di Guido Inzaghi e Simone Pisani pubblicati il 10 agosto sul quotidiano Il Sole 24 Ore. In uno speciale dedicato al Cambio d’uso, gli autori hanno delineato i principi basilari della normativa anche alla luce della giurisprudenza maggiormente rilevante ed hanno fornito le risposte ad alcuni interessanti casi pratici sull’ argomento.

Per gli interventi edilizi conseguenze variabili

La riqualificazione del patrimonio edilizio esistente spesso richiede il mutamento della destinazione d’uso che in origine è stata data ai fabbricati. Il tema è particolarmente complesso in quanto non esiste una regola organica nazionale e molte sentenze sono intervenute sulla questione. A livello nazionale, il mutamento d’uso viene trattato all’art. 10, comma 2, del Testo Unico in materia Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) che dispone solo che sono le regioni a stabilire con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività. A loro volta, le legislazioni regionali normalmente demandano agli strumenti urbanistici comunali l’identificazione delle conseguenze legate alle singole tipologie di mutamento d’uso. Sul tema, sussistono, ad ogni modo, alcuni principi comuni derivanti da primarie nozioni urbanistiche e dall’evoluzione giurisprudenziale in materia.

I principi di fondo. La “destinazione d’uso” di un fabbricato, intesa in senso urbanistico, è quella impressa all’unità immobiliare dal titolo edilizio e non quella in concreto esistente nell’immobile (Cons. Stato, Sez. V, 09.02.2001 n. 583). La nozione di “uso” è infatti ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio – senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 07.05.1992, n. 219). Il titolo edilizio, in particolare, assegna ai fabbricati una specifica destinazione d’uso individuata tra quelle che sono generalmente ammesse per l’area dagli strumenti urbanistici generali e di attuazione. Il mutamento della destinazione impressa ad un fabbricato in favore di altra funzione è assoggettato alla medesima regola e sarà, dunque, ammesso solo se la destinazione che si intende assegnare ricada tra quelle astrattamente ammesse per l’area dallo strumento urbanistico generale.

Le diverse tipologie. I mutamenti d’uso possono essere diversi. Innanzitutto, il mutamento d’uso può avvenire con o senza opere edilizie. I mutamenti di destinazione con opere, in linea generale,
sono soggetti al regime che governa le opere medesime. Per quanto attiene, invece, ai mutamenti senza opere, l’assenza di un intervento edilizio non implica in sé l’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione. La giurisprudenza ha, infatti, precisato che il mutamento di destinazione è comunque urbanisticamente rilevante allorquando sussista un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, aventi diverso regime contributivo. La circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non siano soggette a preventivo titolo edilizio, pertanto, non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e la gratuità dell’operazione (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 10.06.2010, n. 1787).

Gli effetti sulle aree. Occorre poi distinguere tra mutamenti d’uso che comportano l’adeguamento della dotazione di aree a standard e mutamenti che non lo richiedono. L’art. 32, lett a) del Testo unico edilizia ricomprende nella nozione di “variazioni essenziali” ai progetti approvati anche il mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968. Quindi la giurisprudenza ha precisato che ogni volta che si passa da una categoria edilizia ad un’altra, seppur senza opere, va verificata la compatibilità dell’uso e la dotazione di standards urbanistici. E’ stato, quindi, statuito che si configura una “trasformazione edilizia” quando la stessa sia produttiva di vantaggi economici connessi all’utilizzazione del bene immobile, anche senza l’esecuzione di opere edilizie (Consiglio di Stato, sez. IV, 14.10.2011, n. 5539 ed anche TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.2.2011, n. 468). In questo quadro complessivo, i Giudici amministrativi hanno recentemente rilevato che, rispetto alla destinazione produttiva, la destinazione terziaria o residenziale comporta il pagamento di un contributo di costruzione più elevato e il conferimento di standard urbanistici in misura maggiore (TAR Lombardia, Milano, Sezione II, 24.04.2013, n. 1066/2013). La riqualificazione del patrimonio edilizio esistente avrà, dunque, una diversa incidenza urbanistica ed economica a seconda che essa comporti
o meno un cambio d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome.

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Destinazione d’uso: la destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo, e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto agli atti autorizzatori e/o pianificatori.

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